Picchiapò e Cucina Romanesca. Nell’ambito della rassegna dedicata al calendario della cucina tradizionale romana, Claudio Gargioli di Armando al Pantheon ci ha rivelato la sua ricetta del Bollito alla Picchiapò: un grande classico dal nome “stravagante” sulle cui origini sono state date varie interpretazioni. Noi ve ne riportiamo qui alcune, insieme a un divertente aneddoto raccontato da Claudio.
Picchiapò: il nome “bizzarro” che ha sedotto il Belli e Trilussa
Picchiapò. A sentirlo pronunciare, questo termine, con il suo finale accentato, quasi impertinente, suscita una simpatia immediata. E nella tradizione romanesca si lega a una ricetta semplice ma di una bontà a dir poco seducente: il Bollito alla Picchiapò, conosciuto anche nella versione Lesso.
Un piatto molto amato della cucina romana, citato da Ettore Scola nel suo film C’eravamo tanto amati (1974) in cui dà il titolo a una traccia della colonna sonora composta da Armando Trovajoli.
Al perché del nome nessuno sa dare risposta certa. Alcune interpretazioni lo riconducono alla pratica del “picchiare” la carne cotta sul tagliere per sfilacciarla e renderla ancora più lavorabile; altre lo rimandano alla sua nota lievemente piccante.
Claudio Gargioli ci racconta di un’antica maschera romana con la pelle del viso sfatta – come la carne della ricetta – per via del troppo bere, chiamata Bicchiapo’, che perse nel tempo la B in favore della P a causa della pronuncia un po’ insidiosa.
E’ Giuseppe Giocchino Belli a citare un tale Picchiabbò nel suo sonetto “Una digrazzia” (1832):
“Ste scale nu’ le vònno illumina:
E ècchete spiegato, Picchiabbò,
Com e so’ le disgrazzie a sta scittà.”
Ma Picchiabbò è anche il nome del nano di corte protagonista di una favola in prosa romanesca di Trilussa: Picchiabbò, ossia la moje der ciambellano: prosa spupazzata dall’autore stesso (1927).
“Picchiabbò, er buffone de Corte, era un ometto accusì piccolo che uno se lo poteva mette in saccoccia come la chiave de casa. Quanno camminava faceva tre passi, un zompo, una piroletta e un capriolo per via che essenno la capoccia più grossa der corpo, ogni tanto je spiommava e je faceva perde l’equilibbrio.”
……
Quello che ve posso di’ è che Picchiabbò, a forza de caprioli e de piroette, se fece strada e arivò fino a la Reggia, pe’ fa ride er Re.”
Picchiapò e il”vecchietto furbacchione” di Claudio Gargioli
Il nome di Picchiabbò o Bicchiapò, in tutti i casi citati, si riferisce a quello di un personaggio buffo, furbesco e stravagante. Per questo motivo ha suscitato in Claudio Gargioli di Armando al Pantheon il ricordo di un certo aneddoto risalente agli anni ’60. Si era nel periodo in cui in trattoria i pomeriggi dopo il servizio si trascorrevano lieti, tra una sfida a briscola e una partita a scopone. Al tavolo da gioco c’era papà Armando con i suoi amici storici a contendersi un litro di vino e un paio di “pallette” (il significato è svelato nell’ultimo libro di Claudio, La mia cucina romana, ed. Atmosphere Libri). Nel mentre, un viavai di gente si accomodava in sala per intrattenersi con qualche bicchiere di vino e un giornale. Tra questi un vecchietto che ogni giorno, piazzandosi al tavolo davanti all’uscio, beveva il suo mezzo litro e pacificamente, salutando, andava via. La sua presenza era talmente data per scontata che Armando e suo fratello Renato (che all’epoca lavorava con lui) non si accorsero per lungo tempo che il furfante non aveva mai pagato. Realizzato il misfatto, Armando un giorno si piazzò davanti alla porta d’uscita e chiese al signore: “Avete pagato sor mae’?”. E lui, più sfacciato più che mai, rispose:“Ma in quanti séte a riscote?!”. Al generoso Armando la risposta riuscì talmente esilarante che il vecchietto non pagò il suo mezzo litro né allora né mai.
Il post “Picchiapò”: sapete cosa significa? Vi sveliamo curiosità e aneddoti fa parte della rassegna sul Calendario della Cucina Romanesca che proseguirà sul sito e sulle piattaforme social di Tavole Romane per tutto il 2018.
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