Cucina Romanesca. Avete voglia di scoprire qualcosa in più sulle origini della cucina tradizionale romana? Ecco a voi un excursus breve ma intenso sui personaggi e sui fatti che hanno contribuito a renderla unica. Il prossimo appuntamento è per il 26 febbraio con la tradizione del Lunedì con Brodo e Bollito e la ricetta di Claudio Gargioli di Armando al Pantheon.

La cucina della tradizione romana, così come la conosciamo oggi, ha una fortissima matrice popolare. In questo senso, per permetterne una identificazione più precisa, viene anche definita romanesca. Una cucina fatta di ricette povere, agresti e “di recupero” che hanno saputo conquistare i palati più raffinati e quelli geograficamente e culturalmente più lontani, in virtù di una genuinità unica e ineguagliabile. A fronte di solide radici identitarie, va comunque ricordato che Roma è stata e rimane un crocevia di popoli, per la sua storia millenaria, per la sua valenza politica ed economica nello scacchiere internazionale. E non da meno, per la sua rilevanza religiosa, derivante dall’essere il centro mondiale del cattolicesimo.
Dalla contaminazione etrusca a quella greca, a quella araba, Roma ha accolto e si è arricchita nei secoli di altre culture, intrecciandosi in maniera irreversibile con alcune di esse, come è accaduto con quella giudaica.

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A Roma la tavola è pura gioia. Da sempre.

La tavola a Roma, ha sempre avuto un ruolo centrale nella vita socio-economica cittadina. La caupona o il thermopolium nell’Antica Roma, ossia le antiche taverne, facevano da contraltare al lussureggiante triclinium delle ville patrizie dove spopolavano le ricette di Marco Gavio Apicio, cuoco e gastronomo vissuto sotto l’impero di Tiberio (14-37 d.C.) a cui si attribuisce il De Re Coquinaria, ossia la principale testimonianza sulla cucina romana pervenuta sino ai giorni nostri.
Secoli dopo, nel Medioevo, una moltitudine di taverne avrebbe accolto folle di pellegrini in visita alla città di Pietro e Paolo.
Il Cinquecento vide crescere il numero delle osterie dove la gente del popolo andava a rifocillarsi e a svagare il cuore e la mente dagli schiaffi della miseria, mentre tra le mura dei palazzi cardinalizi si godeva delle nuova e sofisticata cucina di Bartolomeo Scappi, cuoco secreto di papa Pio V e autore di un’opera monumentale sull’arte del cucinare. Con l’avvento della Controriforma, sancita dal Concilio di Trento (1545-1563), si richiamarono la chiesa e la comunità al rinnovamento spirituale, alla misura e alla morigeratezza dei costumi. Si pose l’accento sulla penitenza e dunque sui digiuni e sul “mangiar di magro” associato al consumo di pesce. La vita nelle bettole, nelle locande tuttavia non si arrestò; anzi continuò a scorrere gioiosa nella sua genuina schiettezza. La stessa che ritroviamo, secoli dopo, espressa nei versi di Giuseppe Gioacchino Belli e di altri artisti e letterati dell’epoca, grazie ai quali possediamo ritratti vividissimi dei personaggi e degli usi a tavola del popolo romano dell’Ottocento. Nei bujaccari di una volta quanto nelle trattorie contemporanee, il piacere del buon cibo e la convivialità sono stati e rappresentano una priorità irrinunciabile. Mentre sulle tavole delle famiglie di Roma si continua a celebrare una tradizione che, per certi versi, sembra avere radici più forti di ieri.

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Cucina Romanesca: Quali sono i fattori che l’hanno influenzata

Al netto di tutto ciò, possiamo dire che la cucina romana, così come la conosciamo oggi, è il frutto della combinazione di alcuni elementi dominanti. Fermo restando che il dibattito su alcune tematiche è ancora vivo e aperto.

1. La generosa campagna romana
Le erbe, le verdure, gli ortaggi, i prodotti del territorio hanno da sempre dettato legge nell’elaborazione delle ricette popolari. Sin dai tempi dell’antica Roma, come hanno testimoniato Plinio, Orazio, Marziale, Giovenale, Petronio, erano molto amati asparagi, cicoria, cavolo, bieta. I carciofi erano già conosciuti e apprezzati dagli Etruschi. Impossibile non citare le erbe di campo usate per la misticanza, tra cui spicca la rughetta ancora nel cuore di tanti romani.
Oltre che di contadini, l’Agro Romano è stata terra di pastori e allevatori. E al contrario di quanto si possa pensare, la carne bovina di tradizione “macellara” ha fatto la sua comparsa in cucina, in maniera più decisa, solo a partire dal Rinascimento. Erano infatti capre, ma soprattutto pecore e maiali a farla da padroni in cucina. D’altronde, di derivazione ovina sono i formaggi più tipici come anche l’abbacchio, ovvero l’agnello da latte, da secoli protagonista delle tavole romane, soprattutto nel periodo primaverile e in occasione delle celebrazioni pasquali. Il maiale, che già ai tempi di re, popolava i boschi di querce intorno al rudimentale insediamento cittadino, per secoli ha insaporito ricette e ispirato piatti tra i più noti della cucina romana. Tra questi la ben nota porchetta di cui già Apicio parlava nel suo De Re Coquinaria.

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2. La cucina giudaico-romanesca
Un ruolo decisivo nella definizione della cucina romanesca l’ha poi avuto l’apporto della cultura giudaica sfociato nella nascita della cucina giudaico-romanesca.
La comunità ebraica a Roma – di cui si hanno notizie sin dal II secolo a.C. – si ampliò notevolmente a seguito dell’espulsione degli ebrei dalla Spagna nel 1492. Nel 1555 papa Paolo IV istituì il cosiddetto ghetto nel rione Sant’Angelo, in una zona indicativamente compresa tra via Arenula, via dei Falegnami, Via del Portico d’Ottavia e Lungotevere de’ Cenci. Le sue mura furono smantellate in via definitiva solo nel 1848. Nei secoli che scandirono l’isolamento, la comunità diede vita a una cucina di contaminazione, nel rispetto delle regole del kasherut, con forti richiami alla tradizione sefardita (dall’ebraico Sefarad, Spagna) ovvero del ramo ebraico proveniente da Spagna, Portogallo, Francia del sud e Nord Africa. Non a caso, si tratta di una cucina di matrice mediterranea, speziata e non scevra da influenze provenienti dagli arabi di Spagna e di Sicilia.

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3. Il Mattatoio di Testaccio
Uno dei pilastri della cucina romanesca è di certo il quinto quarto. Ma prima di proseguire nel racconto è opportuno chiarire a cosa si ci si sta riferendo.
Per definizione, quinto quarto è ciò che rimane del bovino (o di altro animale) dopo il taglio dei due quarti anteriori e dei due quarti posteriori che ne rappresentano le parti più nobili. Il quinto quarto edibile (esclusa pelle e parti cornee) si compone di frattaglie (interiora), coda, testa e zampe e altri scarti esterni. Le frattaglie, già apprezzate nell’antica Roma, arrivarono ad occupare un posto di rilievo sulle tavole romane proprio grazie all’istituzione del Mattatoio testaccino. La struttura (tecnologicamente all’avanguardia per quei tempi) fu inaugurata il 1° dicembre del 1891. Qui gli operai del mattatoio venivano retribuiti in parte in natura, proprio con lo scambio di prodotti di bassa macelleria. Lingua, fegato, cuore, trippa, budella, polmoni, rognoni in quantità che, in caso di surplus, venivano rivendute alle osterie di zona, moltiplicatesi in seno al vicino Monte dei Cocci. Proprio a Testaccio, in virtù di queste particolari circostanze, nacquero piatti che ancora oggi troneggiano nei menu delle case e dei ristoranti di tutta Roma come la coda alla vaccinara, le animelle fritte dorate e la trippa alla romana.
Il mattatoio venne dismesso nel 1975.

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4. Le influenze regionali
Soprattutto al periodo postunitario risale un fenomeno che tanta parte ha avuto nell’evoluzione della cucina tradizionale, così come la conosciamo oggi. Con l’annessione (1870) e la proclamazione a capitale del Regno d’Italia (1871), Roma si avviò a un processo di espansione urbana che la portò ad accogliere folte schiere di lavoratori tra cui quelli provenienti dall’Alto Lazio, dall’Umbria e dall’Abruzzo. Il loro contributo in termini di ricette e materie prime (iniziato già in epoche precedenti), accentuato dalla formazione di vere e proprie comunità all’interno della città, è risultato prezioso per la nascita e la diffusione di alcuni piatti che tengono alto il nome della cucina romana nel mondo. Gricia e Amatriciana ne sono un esempio.

Tavole Romane dedicherà alla Cucina Romanesca numerosi approfondimenti durante tutto il 2018 grazie all’iniziativa “Cuochi, Storie, Ricette” che vedrà il calendario della cucina romana tradizionale raccontato da alcuni tra i più grandi interpreti della romanità a tavola.
Il prossimo appuntamento è fissato per il 26 febbraio con la tradizione del Lunedì con Brodo e Bollito e la ricetta di Claudio Gargioli di Armando al Pantheon.

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FONTI:
– La Cucina Romana, Roberta e Rosa D’Ancona, ed. Ulrico Hoepli Milano, 2016
– La Romanesca – Cucina popolare e tradizione romana, Francesco Duscio, ed. Fuoco,2014
– taccuinistorici.it

Crediti fotografici: Tavole Romane; Immagine di copertina di qualche anno fa.