Cucina Romanesca. Parte oggi 26 febbraio 2018 la rassegna di post dedicati al calendario della cucina romana tradizionale. Ad affiancarci in questo racconto sul lunedì con brodo e bollito, Claudio Gargioli.
Il grande chef di Armando al Pantheon, durante una piacevole chiacchierata, ci ha detto un po’ di sé, della storia della sua trattoria e di come preparare un ottimo piatto di Bollito alla Picchiapò.
Claudio Gargioli, alias Blecchescieff. Segni particolari: romano da oltre 7 generazioni. E’ lui l’impareggiabile anfitrione di Armando al Pantheon, storica trattoria a gestione familiare tra le più amate di Roma.
Una simpatia travolgente, un sorriso luminoso e accogliente. Una scintilla negli occhi che fa il paio con quella del cuore e ci racconta di una sensibilità fuori dal comune e di un amore per la vita letteralmente senza confini. Quello stesso amore che il padre Armando metteva nei suoi piatti, essenziali e gioiosi, pregni della romanità più autentica. Proprio come lui.
A tu per tu con Claudio Gargioli
Se c’è una cosa che fa arrabbiare Claudio è chi etichetta la cucina romana come semplice, nell’accezione di banale. Perché, chiosa lui: “Non c’è cosa più complessa della semplicità”. E come dargli torto.
Se ci fosse un ottavo giorno della settimana (un claudiodì, per intenderci) lo dedicherebbe, senza ombra di dubbio, all’abbacchio con patate (mentre leggete, immaginate nella sua voce un tono sognante, perché è esattamente così che è andata). Non è un caso che nella sua dispensa non manchino mai pepe, aglio e rosmarino, alla base dell’adorato piatto. La tradizione è la sua cifra, ma la sua mente è aperta come un vasto e placido oceano all’alba di un giorno d’estate. Se gli si chiede una battuta sull’innovazione in cucina non ha nulla da contestare. Lui stesso ha attraversato fasi “da sperimentatore”. “L’importante – dice – è che vengano fuori piatti “veri” che scuotano l’anima e il cuore”. E in questo – diciamo noi – la tradizione non ha rivali.
FORSE NON SAPEVEVATE CHE… Claudio è un artista a tutto tondo. Oltre che per la cucina, ha una passione smisurata per la scrittura e per il teatro. Negli anni le ha sempre coltivate con sincera dedizione e grazie ai suoi racconti e alle sue commedie ha conseguito numerosi premi. Tra questi si ricordano quelli conferiti dal Centro Pannunzio di Torino e la Menzione speciale “Premio Cesare Pavese” del Grinzane Cavour. E poi i primi posti al Premio letterario “La fabbrica dei sogni” del teatro di Tor di Nona e al Premio letterario Dimensione Donna di Treviso.
Per chi invece abbia voglia di approfondire il Claudio impareggiabile chef di Armando al Pantheon, ecco due preziose (sue) referenze da cui abbiamo attinto per il nostro racconto:
– Menù letterario tipico romano di Claudio Gargioli, ed. Atmosphere Libri (2014)
– La mia cucina romana di Claudio Gargioli, ed. Atmosphere Libri (2017)
Armando al Pantheon: un po’ di storia
Armando al Pantheon esiste dal 1961, anno in cui papà Armando, che in quel momento gestiva una piccola pizzeria in Via dell’Argilla, acquistò la licenza di un piccolo ristorante in Salita de’ Crescenzi di cui gli aveva riferito Salvatore “il Santaro” che per l’appunto vendeva oggetti sacri di fronte al Pantheon. Con il cambio di guardia, il posto venne presto trasformato in un’autentica osteria con cucina, di quelle con cicche e segatura sul pavimento, dove operai, studenti e impiegati si radunavano per rifocillarsi e godere di un’atmosfera gioviale e goliardica, in barba alle difficoltà quotidiane.
Claudio fece la sua comparsa “ufficiale” da Armando agli inizi degli anni ’70, da studente di scienze politiche, richiamato dal padre per la sostituzione provvisoria di un cameriere. E subito cadde vittima di una vera folgorazione amorosa: il fermento del viavai della trattoria lo conquistava. Ben presto la clientela iniziò a crescere e a diversificarsi. Non solo operai e studenti ma anche intellettuali, politici e artisti di varia estrazione, ognuno con il suo groviglio di storie e di emozioni da dipanare davanti a un buon piatto di pasta e ceci o a un bicchiere di vino dei Castelli.
E poi il meraviglioso mondo della cucina, tutto da scoprire. Claudio affiancò ben presto alla pratica lo studio non solo della tradizione, ma anche di grandi personaggi come Apicio, noto gastronomo dell’antica Roma, o come il cuoco rinascimentale Bartolomeo Scappi che hanno ispirato piatti che ancora oggi rivivono nel menu.
Negli anni ‘80 il futuro Blecchescieff approdò ufficialmente ai fornelli come aiuto di suo padre. Inutile dirlo, fu l’inizio di un lungo e appassionante percorso che lo ha portato oggi a diventare uno degli interpreti più celebrati e rappresentativi della cucina romanesca.
Armando si ritirò negli anni ‘90 ma continuò sempre a frequentare la sua trattoria, il sabato a pranzo con sua sorella Luciana. Al comando rimasero Claudio e l’onnipresente fratello Fabrizio, ponte fra cucina e sala (che nel frattempo si imbellettava, acquisendo una veste sempre più aggraziata).
Gli anni Duemila segnarono la definitiva consacrazione. A supporto dell’attività arrivò Fabiana, figlia di Claudio, mentre sopraggiungevano i primi prestigiosi riconoscimenti nazionali e internazionali (Gambero Rosso, Slow Food, L’Espresso, Repubblica, New York Times, The Guardian per citarne alcuni). Oggi la tradizione di famiglia continua con il sostegno pratico ed emotivo delle altre due figlie Chiara Maria e Claudia, di Mario e dei giovani nipoti Flavio e Giulia.
Armando al Pantheon rimane un palcoscenico unico su cui si sono succeduti alcuni tra i più noti personaggi che hanno caratterizzato la storia di Roma negli ultimi 50 anni. Difficile trovare un nome famoso che non vi abbia fatto visita, con tanto di beati sorrisi a fine pasto.
Oggi il locale, con il suo stile elegante e retrò, si presenta come un condensato di bellezza e memoria, in cui l’anima popolare si unisce al prestigio di un grande storia familiare. E, nonostante i cambiamenti che nei decenni lo hanno attraversato, è riuscito a conservare lo stesso appeal di un tempo, continuando ad attrarre gente da ogni angolo di Roma e del mondo. Quasi che risulti impossibile, per chi transita almeno una volta dalla Capitale, resistere al suo richiamo.
Cucina Romanesca – Lunedì Brodo e Bollito
Piove o nun piove, er papa magna.
La domenica, si sa, è giorno di festa e in passato, quando il senso di celebrazione era molto più radicato, andava vissuto il più possibile all’insegna della magnificenza. Sulle tavole più agiate, comparivano preparazioni opulente, polpose carni bovine proposte nei loro tagli più nobili – tra gli altri, filetto, scamone, girello – così definiti per via del basso contenuto di ossa, filamenti nervosi e grassi. Diversamente, sulle tavole povere, al netto degli scarti, non sempre ci si poteva concedere il lusso della carne. Quando accadeva, a farla da padroni erano i tagli di seconda e terza scelta, (principalmente legati alla parte anteriore dell’animale) più grassi e filamentosi. Meno pregiati certo, ma capaci di dare risultati stupefacenti nelle lunghe cotture.
Nella tradizione popolare romana, quando c’era, la carne diventava protagonista anche del lunedì, giorno dedicato al brodo (che talvolta si preparava anche di domenica) e al riciclo dei tagli utilizzati per prepararlo. A partire da un solo ingrediente di base dunque, si ottenevano un primo e un secondo, certo poco affini al concetto di povertà in termini di gusto, in quanto straordinariamente saporiti e succulenti.
Quali sono i tagli più indicati per un buon brodo di carne? Ada Boni, celebre gastronoma romana in prima linea nella salvaguardia della cucina tradizionale, nel suo Il Talismano della felicità (1929) suggeriva: copertina, fianchetto, petto, spalla e stinco. E aggiungeva: “Maggiore gusto si ottiene con la punta di culatta o piccione”.
A volte, insieme alla carne si mettevano a cuocere gli ossi (di ginocchio, suggerisce Claudio Gargioli) per ottenere un estratto ancora più sostanzioso. E poi gli aromi, carota, sedano, pomodoro e cipolla in cui non si disdegnava di conficcare qualche chiodo di garofano, spezia molto comune nella cucina romanesca. Una volta pronto, il brodo diventava la base per piatti succulenti. Tra i più amati i quadrucci in brodo o la tradizionale stracciatella romana preparata con l’uovo che, a detta della nonna di Claudio, serviva ad aprire lo stomaco.
Cucina Romanesca – Bollito e Lesso
Cosa succedeva alla carne dopo la cottura in brodo? Prima di proseguire, saliamo un attimo in cattedra per poi riscendere e goderci con la pancia il resto del racconto.
Accade che, per alludere alla carne stracotta, si utilizzino indistintamente i termini lesso e bollito. Tuttavia esiste una differenza sostanziale.
Il lesso si riferisce alla carne immersa a freddo in acqua poi portata a ebollizione. Un procedimento che permette alla carne il rilascio lento di succhi e nutrienti, per un brodo che non ha eguali in intensità. La carne, a fine cottura, risulta un po’ meno saporita e sfibrata. Per questo motivo, a volte, si usa farla rinvenire con l’aggiunta di latte.
Nel bollito invece, la carne viene immersa in acqua già in ebollizione con conseguente cicatrizzazione dei tessuti e minor passaggio di sostanze nutritive al liquido. Il risultato è una carne molto più ricca, nutriente e gustosa.
Una domanda a Claudio prima di passare alla ricetta
Claudio, oggi ci presenti un classico della cucina romanesca: il Bollito alla Picchiapò, in omaggio alla tradizione del lunedì. Ci puoi dire, secondo te, quale sarà “la Picchiapò” del futuro?
E lui: “Dato l’andazzo, che ne pensate di un buon piatto di Coscette di formiche alla Picchiapò?”
Il Bollito alla Picchiapo’ di Claudio Gargioli
Il Bollito alla Picchiapò è un piatto semplice e accattivante. Carne, pomodoro, cipolle, un pizzico di pepe e il gioco è fatto. Questa la ricetta di Claudio Gargioli di Armando al Pantheon:
INGREDIENTI per 4 persone
– 800 g di petto di manzo bollito
– 900g di passata di pomodoro
– 1 cipolla bianca grande
– ½ bicchiere di vino bianco
– Prezzemolo in foglie o tritato q.b.
– Pepe nero q.b.
– Sale q.b.
– Olio evo q.b.
PROCEDIMENTO
-Tagliare il petto di manzo in fettine sottili da ½ centimetro e sistemarle a parte in un piatto.
-Tagliare la cipolla a lamelle e disporla in una padella con l’aggiunta di vino bianco e di un pizzico di sale. Far cuocere a fiamma lenta, fino a far ammalvire la cipolla.
– Aggiungere le fette di bollito e successivamente la salsa di pomodoro. Mescolare e far cuocere a fiamma moderata fintanto che la salsa non risulterà ben densa e ristretta. Durante la cottura aggiungere un pizzico di pepe nero.
– Impiattare e aggiungere una spolverata di prezzemolo tritato o in foglie di guarnizione. Infine olio evo a piacimento.
Per “espandere” il piatto Claudio suggerisce di cospargere i bordi con delle croccanti briciole di pane bruscato.
Nei prossimi giorni, continueremo a parlare di Picchiapò, svelandovi simpatiche curiosità sul nome e un divertentissimo aneddoto raccontatoci da Claudio.
L’appuntamento con il calendario della cucina romana prosegue a marzo con Vincenzo Mancino di Proloco DOL e la tradizione del martedì dedicata alle polpette.
Armando al Pantheon
Salita de’ Crescenzi 31, Roma
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