Cucina Romanesca. Una magnifica liaison quella fra il baccalà e la città di Roma, dove il merluzzo artico è stato valorizzato in particolare nella cucina giudaico-romanesca del ghetto. D’altra parte, grazie all’influenza dell’arcivescovo svedese Olao Magno, nel corso del Concilio di Trento (1545-1563), il baccalà fu ammesso nei “giorni di magro” tra cui il mercoledì, il venerdì e la Quaresima.
A voi un breve excursus sulla storia di questo inimitabile prodotto nordico che da cibo dei poveri è divenuto primattore nei menu dei più acclamati chef al mondo.
In più, una lista di posti dove mangiare degli ottimi filetti di baccalà fritti, una delle specialità tradizionali più amate a Roma.
Il baccalà è un ingrediente amato e utilizzato in tutto il mondo, presente in diverse cucine regionali italiane, inclusa la cucina romanesca.
A Roma si prepara in diversi modi, a partire dalla versione alla romana ovvero in guazzetto, in agrodolce o in abbinamento ai ceci.
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E che dire dell’impareggiabile filetto fritto, che ravviva i menu di pizzerie, trattorie e talvolta osterie gourmet, essendo al contempo uno degli street food più amati e ricercati della città.
Il Baccalà in Italia
A ben guardare, si può dire che la storia del baccalà in Italia è senza dubbio e innanzitutto una storia d’amore cominciata molti secoli fa e più precisamente nel 1432, anno in cui il veneziano Pietro Querini, a seguito di un naufragio, approdò con parte della suo equipaggio sull’isola di Røst facente parte delle norvegesi isole Lofoten. Qui da sempre enormi banchi di Gadus morhua, ovvero merluzzo artico norvegese, arrivano a deporre le uova nel periodo compreso tra gennaio e aprile permettendo una pesca a dir poco fiorente.
E insomma fu proprio a Røst che Querini incontrò per la prima volta lo stokfisk (da cui stoccafisso) così chiamato dalla popolazione locale per via degli stokk, le imponenti impalcature di legno su cui – ora come allora – erano soliti essiccarlo. Oltre a farne entusiastico rapporto in patria, a quanto pare fu proprio il veneziano a portare i primi merluzzi essiccati in Italia dando il via ad uno scambio sempre più importante che ha collocato il Belpaese tra i principali paesi importatori di baccalà.
Baccalà e Stoccafisso
Ma prima di proseguire con il racconto, chiariamo appunto la differenza tra stoccafisso e baccalà. All’origine c’è sempre il merluzzo artico mentre a cambiare è il metodo di conservazione.
Lo stoccafisso viene conservato tramite essiccamento all’aria. E’ conosciuto sin dal tempo dei Vichinghi che lo utilizzavano come preziosa scorta di cibo oltre che come merce di scambio con la popolazioni del Nord Europa. Dal 2015 lo stoccafisso norvegese gode del riconoscimento Tørrfisk fra Lofoten IGP da parte dell’Unione Europea.
Il baccalà viene invece privato della testa, aperto e conservato disteso in appositi barilotti sotto sale. Si pensa che la sua nascita sia dovuta a un gruppo di pescatori di balene del Golfo di Guascogna che spingendosi fino ai Grand Banks di Terranova, nell’Atlantico Settentrionale, s’imbatterono in fitti banchi di merluzzi con cui decisero di arricchire le proprie stive, conservandoli allo stesso modo dei grossi cetacei, ovvero sotto sale.
Il nome baccalà deriverebbe dal basso-tedesco bakkel-jau, appunto pesce-bastone.
Il Baccalà e i giorni del “mangiar di magro”
Nonostante l’entusiasmo di Pietro Querini, il baccalà impiegò un po’ di tempo prima di essere accolto definitivamente nelle cucine della Penisola. Decisivo fu il Concilio di Trento (1545-1563), indetto in risposta alle diffusione del movimento protestante, durante al quale si ribadì un ritorno alla sobrietà.
Si ristabilì così l’importanza dei digiuni e dei giorni di astinenza dal consumo della carne come il mercoledì, il venerdì e il periodo di Quaresima. Sorprendente, a questo punto della storia, la concomitanza dell’intervento di un padre conciliare, lo svedese Olav Manson, conosciuto anche come Olao Magno, che dì lì a poco pubblicò un libello in cui decantava i prodotti della sua terra d’origine tra cui “un pesce detto merlusia, essiccato ai venti freddi che li mercanti germani barattano con cervogia, grano e legno”. E così facendo, sdoganò sistematicamente il baccalà in quanto cibo ammesso nei giorni di magro.
Nonostante la sua indubbia bontà, tuttavia per secoli venne associato alla privazione e considerato “cibo dei poveri” poiché scelto da chi non poteva permettersi pesce fresco. Ma col tempo è finito con il diventare, da nord a sud, un prodotto di punta dei variopinti ricettari regionali. E oggi può essere considerato a tutti gli effetti un ingrediente principe dei menu dei grandi chef d’Italia e nel mondo.
Il Baccalà a Roma – Dove assaggiare i gustosi filetti fritti
A Roma il baccalà è tipico della cucina di tradizione giudaico-romanesca della zona del ghetto, a cui si ispira gran parte delle ricette a tema oggi conosciute in città. Tra queste i goduriosissimi filetti fritti di baccalà consumati tutto l’anno presso ristoranti, pizzerie e come cibo da strada e tradizionalmente in famiglia la sera della Vigilia di Natale.
Come ribadito nel nostro post Un primo assaggio di Cucina Romanesca: Radici e breve storia, la comunità ebraica capitolina si ampliò notevolmente a seguito dell’espulsione degli ebrei dalla Spagna, avvenuto nel 1492. Pochi decenni dopo, nel 1555, papa Paolo IV finì per confinarla nell’ambito di un vero e proprio ghetto nei pressi di Via Arenula che rimase attivo fino al 1848. Qui nei secoli, si consolidò una cucina unica, fortemente contaminata dalla tradizione sefardita (dall’ebraico Sefarad, Spagna) ovvero del ramo ebraico proveniente da Francia del sud, Nord Africa, Spagna e Portogallo. Questi ultimi due, da sempre, tra i più grandi consumatori di baccalà al mondo.
Tornando al presente, per chi si stia chiedendo dove sia possibile assaggiare degli ottimi filetti fritti di baccalà a Roma, riportiamo un elenco in ordine alfabetico di posti top da provare assolutamente.
1. Dar Filettaro a Santa Barbara | Centro Storico
2. Giggetto al Portico d’Ottavia | Centro Storico
3. Pastella | Montesacro e Pigneto
4. Pommidoro e 180g pizzeria Romana (Filetti di ceci e baccalà) | Centocelle
5. Supplizio ai Banchi Vecchi e ai Coronari (Filetti fritti con doppia panatura) | Centro Storico
6. Trattoria Da Cesare al Casaletto | Casaletto
7. Trattoria Pennestri (il venerdì) | Ostiense
Siete curiosi di conoscere altri dettagli sulla cucina della tradizione romana? Leggete tutti i post della nostra Rassegna sulla Cucina Romanesca che si concluderà a dicembre 2018.